La Storia
La decisione di costruire la chiesa – con annesso convento – dedicata a S. M. delle Grazie, probabilmente nasce dalla volontà espressa poco prima della morte dal principe Lucio I Palagano signore di Trani. Ma, poichè a Trani già esisteva il convento dei Minori osservanti, fu convinto a edificare la nuova casa dei Francescani a S. Vito in Terra d’Otranto. Sarà Lucio II che nel 1585 cercherà di dare attuazione a quanto disposto dal nonno.
L’atto notarile che segna l’inizio della costruzione è datato 22/6/1586, ma i lavori dovettero andare molto a rilento per le difficoltà del feudatario a reperire i fondi.
Lucio II infatti si limitò a fare delle promesse e a dare qualche spicciolo che non consentì ai frati di essere puntuali nel pagamento con i costruttori. Sopravvenne poi la sua morte e la moglie d. Zenobia vendette il feudo e si trasferì a Napoli.
Richiamata ai suoi doveri dalle autorità ecclesiastiche d. Zenobia accettò una transazione con cui si impegnava a versare 600 ducati, ma non si sa se l’accordo fu effettivamente onorato; quel che è certo è che il convento potè essere costruito solo grazie al contributo dei cittadini sanvitesi.
Intanto, tra donazioni e completamento dei lavori, la presenza dei Francescani a S. Vito, pur tra molte difficoltà si consolidò fino all’arrivo dei francesi: dapprima Giuseppe Napoleone si limitò a mantenere le vecchie leggi borboniche, ma quando rinunciò al trono partenopeo per quello di Spagna gli subentrò Gioacchino Murat nel 1808 che con la legge 7 agosto 1809 chiuse quasi tutti i conventi cancellando la provincia leccese dell’Osservanza minoritica. A San Vito fu chiuso il convento dell’Annunziata dei Domenicani, ma si salvò dalla chiusura quello di S. Maria delle Grazie dei Francescani.
Quello che non era accaduto con i francesi però accadde con l’arrivo dei piemontesi nell’Italia meridionale; con la legge 7 luglio 1866 vennero soppresse tutte le corporazioni religiose e i loro conventi e anche il convento di Santa Maria delle Grazie venne chiuso definitivamente.
Nelle vicende che ne seguirono il 7 ottobre 1921 fu venduto il terreno adiacente il convento e con esso anche la cappelletta presente nel giardino con alcuni affreschi che ancor oggi, dalla finestra del Convento è possibile vedere in lontananza.
Esterno
È la tipica facciata delle chiese francescane a navata unica, a cui si sono aggiunte nel tempo due navatelle; prima quella destra nella metà del 1600 e poi alla fine del 1800 quella sinistra. Delimitata da due lesene con capitelli su cui sono collocate due statue in pietra, che dovrebbero rappresentare S. Diego e S. Pasquale. Il frontone è di forma triangolare con la statua della Vergine col Bambino al centro. La parte centrale è bucata da due finestre che oggi ospitano due vetrate istoriate. Ai lati, in corrispondenza delle navate due finestroni a lira.
Il portale è delimitato da due colonne con base quadrata e due paraste. Il fregio è decorato con motivi floreali. Al di sopra, quasi attaccata al portale, è stata aperta una finestra con centinatura e con croce in pietra su di essa.
Il Campanile è di tre piani con quattro monofore per ogni piano. I primi due sono di forma quadrata delimitati da una leggera cornice; il terzo è di forma ottagonale sormontato da una cupoletta.
Interno
L’interno è adesso a tre navate ma quando la chiesa fu costruita, inizialmente era a navata unica, completamente vuota ed adibita alla sepoltura dei fedeli. Attraverso le grate poste nel pavimento è ancora possibile vedere i resti di quelle sepolture.
Gli Altari
Adesso vi sono nove altari collocati nelle navate laterali, mentre quello centrale è stato demolito due volte.Gli altari più antichi sono quelli collocati nella navata laterale sinistra.
Essi si trovavano negli arconi della navata centrale e poi alla fine del 1800 furono smontati e rimontati sul muro che inglobava un’ala del chiostro, da cui fu ricavata la seconda navata laterale.
S. Eligio. Su nicchia centinata con conchiglia è sistemata la statua in pietra del santo. Due colonne arricchite da putti e cherubini delimitano l’insieme architettonico dell’altare. La presenza di un altare dedicato a S. Eligio, protettore dei maniscalchi, allora molto numerosi, si spiega con una devozione diffusa verso questo santo in un paese prevalentemente agricolo in cui asini, muli, cavalli certamente abbondavano.
S. Anna. La mensa dell’altare è sostenuta da due mensoloni con uno stemma araldico con tre stelle, al centro del paliotto. Molto probabilmente si tratterà dello stemma della famiglia committente. Ai lati dell’altare due nicchie rettangolari in cui sono collocate le statue in pietra raffiguranti S. Rocco e S. Bonaventura.
S. Biagio. Due colonne arricchite da cherubini delimitano l’insieme architettonico. Sulla nicchia un gruppo di quattro putti e un cherubino sostengono una mitria.
S. Giuseppe. La mensa è sostenuta da due pilastrini, che insieme al paliotto nel 1898 sostituirono la struttura originale. Come per gli altari precedenti, sul secondo ripiano per i candelieri è sistemata la nicchia in cui è collocata la statua del santo. Due colonne arricchite da foglie, putti e cherubini sostengono il fastigio.
Al termine della navata sinistra troviamo una piccola cappella allestita nel 2000 con quadri del pittore Massimo fedele di San Vito
Immacolata. Nella navata laterale destra il primo altare è quello dell’Immacolata. Al di sopra di un baldacchino in una cornice centinata è sistemata la tela dell’Immacolata. L’altare, come tutti quelli di questa navata dovrebbe risalire alla metà del secolo XVIII, realizzato da scultori locali.
Nei pressi dell’entrata c’è una magnifica acquasantiera antica in marmo e ferro battuto
S. Francesco d’Assisi. Stando a quello che viene riportato nella Platea della confraternita di S. Francesco, questo dovrebbe essere il secondo altare sorto in questa navata. La mensa e il paliotto furono prima sostituiti, con scarso gusto, da altri elementi in marmo, poi dopo la costruzione della cappella del SS., sotto la mensa è stata spostata la tomba in cui sono conservate le spoglie di P. Pittalà (*).
S. Lucia. La mensa, che è sostenuta da due mensoloni, presenta nel paliotto lo stemma araldico della famiglia Marchese Belprato, principi di San Vito. Al centro è sistemata la nicchia con arco a tutto sesto in cui è collocata la statua della santa. Ai lati due lesene, arricchite da foglie, con capitelli su cui poggia l’impianto del fastigio in cui è inserita una cornice quadrata con una tela della santa.
SS. Cosma e Damiano. La mensa, come per gli altri altari, poggia su due mensoloni, il paliotto è sostituito da una nicchia in cui è sistemata una delle due statue del Cristo Morto esistenti in questa chiesa. Sul secondo ripiano, più ristretto per la presenza di un tabernacolo, è sistemata la nicchia di forma rettangolare per ospitare la statua dei due santi. Il complesso architettonico è delimitato da due colonne e lesene il cui il fastigio è costituito da una finestra.
Una curiosità è costituita dai busti di due angeli nudi fino al bacino, tanto che anni fa qualche rettore molto zelante pensò di sistemare a mo’ di perizoma due foglie in metallo. Raffigurati in preghiera con le mani giunte e capelli a grossi riccioli sembrano essere usciti dallo scalpello di qualche artigiano locale di fine XVI secolo. Potrebbe essere lo stesso che, anche nell’altare dedicato a S. Antonio ha scolpito una donna a seno nudo.
S. Antonio. Stando a quel che si legge nel paliotto, l’altare dovrebbe risalire al 1752. Ma in effetti non è così, perché nel 1715 l’altare, anche se non nella forma attuale, doveva esistere. Si possono fare due ipotesi: o l’altare venne rifatto totalmente o almeno la parte riguardante la mensa venne sostituita. Solo così si comprenderebbe la data scolpita nel fregio con cartiglio che decora il paliotto: «MALLEUS HAERETICO- RUM / PERPETUO EXTITIT ARCA / TESTAMENTI ETIAM / MIRACULI(QUE) SATOR / A. D. 1752». Molto probabilmente il committente dell’altare sarà stato il Principe Giuseppe Marchese Belprato visto che il suo stemma araldico troneggia nel complesso architettonico dell’altare. Nell’insieme l’altare si presenta più ricco nella realizzazione rispetto agli altri. Due colonne di ordine corinzio sostengono la trabeazione costituita dall’architrave, dal fregio e dalla cornice su cui poggiano elementi decorativi costituiti da foglie, da cherubini e da due putti che sostengono lo stemma araldico del principe Giuseppe Marchese Belprato.
Sui due capialtare sono poggiate le statue in pietra di S. Ludovico e S. Bernardino da Siena. In questa cappella vennero sepolti alcuni componenti della famiglia Marchese Belprato.
Nei pressi dell’altare troviamo la statua dell’Immacolata Concezione.
Volto espressivo, anche se non eccezionale dal punto di vista artistico, attribuibile a qualche intagliatore salentino del XVIII secolo. Vestito e manto nel passato spesso venivano confezionati a Napoli o da ricamatrici locali. E’ una statua che ha trovato il consenso dei sanvitesi, alla quale a volte sono legati in forma quasi superstiziosa.
Il Coro
Consta di un solo ordine di stalli con 23 posti ed è diviso in tre settori: uno centrale e due laterali. Negli schienali sono inserite 18 tele. Lo arricchiscono alcuni elementi decorativi ad intaglio costituiti da fiori con stelo e foglie, che servono da sostegno alla fascia superiore. Il coro era in pessime condizioni e alcuni anni fa fu smontato e restaurato, anche le tele vennero restaurate. A qualche mese dal montaggio vi fu un attacco di termiti, e così le tele dovettero essere smontate ancora una volta.
L’opera, molto probabilmente da attribuirsi ad artisti salentini, dovette essere realizzata verso la fine del XVII secolo, inizi del XVIII. Originariamente sugli schienali erano incorniciate 23 tele raffiguranti in massima parte alcuni santi o beati dell’ordine francescano.
Nel momento in cui noi abbiamo scattato le foto, il numero delle tele si era ridotto ancora perchè erano diventate solo 17; manca quella di Sant’Elena.
Le tele
Nella chiesa si conservano numerose tele di diverse dimensioni. Una di esse è firmata dal pittore francescano sanvitese fra’ Giacomo da San Vito (**), che ha lasciato tracce del suo genio pittorico non solo in Puglia, ma anche nelle regioni limitrofe.
S. Salvatore da Orte. La tela (cm. 200 x 250) rappresenta una scena della vita e alcuni miracoli di S. Salvatore da Orte. Il santo è la figura centrale tra una folla di ammalati, storpi popolani che a lui si rivolgono. Impugna l’aspersorio per benedire tutti, mentre un altro francescano, S. Diego, gli porge il secchiello con l’acqua benedetta. Sulla destra sono raffigurate sei persone vestite variamente, altre sei ed un bambino in braccio alla madre sono raffigurate sulla sinistra. Tutte implorano qualcosa dal santo. Sullo sfondo un paesaggio, sul secchiello la scritta “P. Jacob a S. Vito” e sulla carrozzella di un malato una data “1666”.
Nella tela sono ripetuti i motivi fondamentali della pittura di fra Giacomo: ricchezza di personaggi e di particolari.
La Provvidenza. Forse questa tela era stata collocata nel refettorio dei frati. Cinque i personaggi di questo dipinto: due frati francescani e tre angeli attorno a una tavola apparecchiata. I due frati hanno il bastone da pellegrino, uno di esso ha un’aureola sul capo ed è in ginocchio in preghiera. I tre angeli depositano i piatti con le vivande sulla mensa: pane, pesci, limoni, frutta, botticella di vino. Secondo quanto riferito da P. Camarda nella relazione per la visita pastorale di mons. Aguilar, i due francescani dovrebbero essere S. Salvatore da Orte e S. Diego. Dipinto (cm. 200 x 250) di particolare impegno, dovuto al pennello di fra Giacomo.
A proposito di questa tela R. Jurlaro nel libro “Storia e cultura dei monumenti brindisini” p. 247 così si esprime: ” SAN VITO DEI NORMANNI, La cucina degli angeli, scena in cui è rappresentato un episodio della vita del converso dei frati Minori san Diego d’Alcalà, è un quadro dipinto nella metà del sec. XVII da fra’ Giacomo da San Vito per la chiesa dei Conventuali del suo paese, oggi parrocchia dell’Immacolata. L’impostazione delle figure, nell’iconografia del santo, probabilmente a fra’ Giacomo da San Vito fu ispirata da quella del quadro dipinto dal Murillo come parte del ciclo della vita di san Diego, nel 1646 per la chiesa del convento dei frati Minori di Siviglia ed ora invece nel Louvre di Parigi. Fra’ Giacomo da San Vito come pittore merita d’essere studiato, più che per la resa in arte, per la documentazione folclorica locale contenuta nei suoi quadri.
Una breve ricerca ci ha permesso anche di ritrovare ed esporre l’opera citata con cui poter effettuare i confronti di modo che ognuno possa trarre le proprie conclusioni e i personali convincimenti.
La Deposizione. La Vergine è ai piedi della croce; indossa una veste rossa ed un manto azzurro; ha lo sguardo rivolto verso l’alto. Sulle sue ginocchia il Cristo, in parte avvolto in un lenzuolo. Sulla sinistra S. Francesco in ginocchio in preghiera. Sulla destra un paesaggio (Gerusalemme).
Tela (cm. 135 x 180) molto ridipinta in epoca successiva, può essere attribuita ad un francescano salentino della II metà del XVII secolo.
Vergine col Bambino. La Vergine è seduta e ha in grembo sulla sinistra il Bambino. Nella destra ha un rosario e un fiore, probabilmente una rosa.
Dipinto con cornice centinata (cm. 40 x 40) collocato nel fastigio dell’altare di S. Anna, di carattere devozionale attribuibile a qualche pittore locale del sec. XVII-XVIII.
La crocifissione. La tela è costituita da quattro pannelli: due (cm. 220 x 130) da base, gli altri (cm. 50 x 130) costituiscono la lunetta superiore.
Da qualche tempo la tela è stata riportata nella prima cappella della navata laterale sinistra. Essa fa da sfondo al grande Crocifisso. In essa, infatti, il Cristo manca ed è sostituito dalla croce lignea col Cristo inchiodato sopra di essa. Nel primo pannello è raffigurata la Vergine con le pie donne. La Madonna, che indossa una veste rossa ed un manto blu, è sostenuta da due donne (Maria, madre di Giacomo e la madre dei figli di Zebedeo) che indossano gli stessi abiti. In alto, tre angioletti e tre cherubini.
Nel secondo pannello sono raffigurati S. Giovanni evangelista e la Maddalena.
Quest’ultima con i capelli sciolti, indossa una veste chiara e un manto scuro, è in ginocchio ai piedi della croce. Dietro di essa, in piedi, S. Giovanni con veste rossa e manto scuro. In alto, due angioletti e due cherubini.
Negli altri due pannelli di chiusura della tela sono raffigurati il sole e la luna ai due lati e sei angioletti svolazzanti al centro.
L’impostazione di tutta la scena e il volto dei personaggi richiamano la tela della Crocifissione presente nella Basilica di S. Maria della Vittoria e firmata da Giuseppe M. Candida, pittore del 1700.
Vergine col Bambino o Madonna del latte. La Madonna, seduta, allatta il Bambino, che tiene in grembo; con la sinistra regge la mammella da cui il Bambino succhia il latte. In alto a destra, due cherubini. Dipinto (cm. 73 x 73) che ripropone i classici schemi francescani del sec. XVII o XVIII.
Madonna del cucito. La Vergine, seduta, è raffigurata nell’atto del cucire (ha un ago in mano, a terra si notano un gomitolo e un paio di forbici); il Bambino dorme ai suoi piedi. A lato è raffigurato S. Giovannino con un agnello; a terra una croce con cartiglio “Ecce Agnus Dei”.
Lavoro (cm. 105 x 70) di qualità mediocre da attribuire a qualche pittore locale o francescano del primo ‘700. E’ la versione popolare della Madonna del cucito resa celebre da Guido Reni e diffusa in Puglia, come schema iconografico dal Cozza (chiesa di S. Bernardino a Molfetta).
Immacolata Concezione. La Vergine a figura intera domina la tela. Indossa una veste rossa e un manto azzurro; in testa ha una corona a cinque punte con sette stelle intorno. Sotto i suoi piedi, il serpente e una fetta di luna. Ha le mani giunte in preghiera. In basso, a destra, un angelo regge una stella a otto punte con raggi; più su, a sinistra, un altro angelo con un ramo con dei frutti (limoni?); ancora più su, a destra, un terzo angelo con un giglio. In alto, un gruppo di sei cherubini.
Il dipinto con cornice centinata (cm. 250 x 100) ripete una iconografia molto cara alla devozione popolare. La tela dovrebbe essere quella commissionata nell’ottobre del 1628 dalla confraternita dell’Immacolata al pittore brindisino Giovanni Domenico Scarato, ma è stata totalmente adattata al nuovo altare barocco costruito nella prima metà del 1700. Da quanto è venuto alla luce durante l’ultimo restauro di Francesca Marzano, la tela sarebbe stata tagliata nella parte superiore e nei due lati, per cui dai tre metri circa di altezza sarebbe passata agli attuali m. 2,10. Anche sui due lati è stata ridotta, per cui gli angioletti sono stati ridipinti e quasi addossati alla Madonna, e ridotti nel numero. Della tela di Scarato, perciò, è rimasto soprattutto il volto della Vergine, molto bello.
S. Lucia. La santa è raffigurata in primo piano a figura intera. Indossa una veste azzurra e un manto rosso; sulla testa ha una specie di turbante. Nella sinistra ha una palma, con la destra sembra indicare il cielo. È leggermente appoggiata ad una mensola su cui è posto un vassoio con due occhi, chiaro riferimento all’episodio del suo accecamento. A destra, sullo sfondo un paesaggio.
Dipinto (cm. 140 x 90) di discreta fattura che si potrebbe attribuire a Domenico Carella o quanto meno a qualcuno molto vicino alla sua pittura.
Vergine col Bambino. La Madonna indossa un manto blu su una veste chiara e regge sul braccio sinistro il Bambino dai capelli riccioluti.
Sul retro la firma del pittore con la data: “S. Maria della Grazia – Pictor Lyciensis 1844”. Il dipinto (cm. 70 x 50) riproduce schemi iconografici già noti in Puglia e di largo uso.
S. Francesco d’Assisi. Nel timpano dell’altare di S. Francesco d’Assisi è inserita una mappetta centinata molto gradevole dal punto di vista estetico. In alto Gesù e la Vergine dai quali S. Francesco sembra ricevere le regole del suo Ordine. In basso la figura del Pontefice.
Usciti dal Coro, attraversiamo un breve corridoio che passando dalla Sagrestia ove c’è un Crocefisso ligneo attribuibile a scultore francescano salentino di fine ‘600 inizi ‘700, ci porta direttamente nel chiostro del vecchio convento.
Il Chiostro
Il pavimento è ancora segnato dai nomi dei detenuti che ivi sono stati reclusi fino a non molto tempo fa.
Gli affreschi del Convento di Santa Maria delle Grazie
Un capitolo a parte meritano gli affreschi del convento.
Le pareti del chiostro erano tutte affrescate; altri affreschi si trovavano nei locali una volta adibiti a carcere; l’ultimo in ordine di tempo è stato rinvenuto nel corso dei lavori di restauro dei locali dell’ex convento, durante la rimozione del materiale di riempimento posto sopra una volta costruita successivamente.
L’affresco doveva decorare una sala, il cui soffitto venne abbassato per costruirvi sopra un’altra stanza.
Così viene descritto in una nota apparsa sul giornale locale “Il Punto”: «I colori non sono molto forti. Sotto un drappeggio è rappresentata una figura femminile dormiente stesa su una croce. Sotto, la scritta tutta in lettere maiuscole: “EGO DORMIO. ET COR MEUM. VIGILAI”. Nonostante la stanchezza, che porta al sonno il soggetto raffigurato, il suo cuore, però, è accanto al suo Dio che soffre.
Si spiegano così tutti i segni tradizionali della Passione che vediamo dipinti o collocati sulla croce nella processione dei Misteri del Venerdì Santo: scala, lancia, canna con la spugna, gallo, colonna, lanterna, borsa con i denari del tradimento, corona di spine, tunica, dadi, martello, tenaglia, catino con brocca, coltello, chiodi, flagelli ed altri che sono scomparsi col tempo».
Questo e quelli del chiostro molto probabilmente sono da collocare verso la fine del 1600, mentre un discorso a parte meritano i resti di quelli che si trovano nel salone ricavato nei locali dell’ex carcere. Quest’ultimi, riferibili ad una mano più sicura, si trovavano sotto la calce e l’intonaco e furono salvati in parte dalla furia picconatrice di alcuni operai ai quali incautamente il parroco diversi anni fa, dopo aver ricevuto dal Comune di San Vito i locali dell’ex convento, aveva commissionato modifiche e restauri, pare non autorizzati. Peccato, perché erano veramente pregevoli, ma i danni provocati in questo convento sono tanti dal 1868 in poi.
Gli affreschi del chiostro erano tutti ricoperti di calce. Molto probabilmente quando i locali passarono alla Provincia di Lecce e al Comune di San Vito, gli amministratori dell’epoca pensarono di togliere ogni traccia che potesse ricordare il carattere sacro di quei locali e così li ricoprirono con latte di calce. Una fine peggiore fecero quelli posti sulla parete attaccata alla chiesa, quando l’assemblea dei confratelli dell’Immacolata nella riunione del 18 luglio 1897 decise l’allargamento della chiesa con la terza navata inglobando l’ala del chiostro. Naturalmente quei lavori, autorizzati dall’Amministrazione Comunale, comportavano l’abbattimento del muro sul quale si trovavano gli affreschi, che furono distrutti.
“Guardando in alto, nell’intercapedine formatasi tra il vecchio muro del chiostro e il nuovo pilastro della navata di sinistra, è ancora possibile vedere le tracce dell’antico affresco.
Circa 20 anni fa, forse a causa di una gelata, la patina di calce che ricopriva gli affreschi si sfaldò lasciando intravedere tracce del colore sottostante. Col passare del tempo, alcuni anni fa la Soprintendenza finalmente finanziò l’intervento di pulitura, ma quegli affreschi hanno bisogno di restauro.
Gli affreschi dovrebbero narrare alcuni episodi della vita di S. Francesco d’Assisi.
Il Salone (già Carcere Mandamentale)
Nel salone ricavato negli ambienti del carcere mandamentale, durante i lavori di sistemazione, sotto la calce apparvero una serie di affreschi molto diversi per stile e tonalità di colori da quelli del chiostro.
Purtroppo di un salone affrescato, che si suppone dovesse essere il refettorio dei frati, data la vicinanza con la cucina, ancora da restaurare e recuperare, rimangono soltanto tracce di affreschi, perché, come si è detto, il parroco dell’epoca pensò bene di eliminarli. Per fortuna ci fu l’intervento degli uffici competenti, anche se un pò tardivo, per cui si riuscì a salvare solo una minima parte delle pareti affrescate.
Si son potute recuperare solo cinque figure incomplete che non consentono di poter comprendere il loro inserimento nell’insieme.
Sulla parete di fondo è rimasta la testa che potrebbe raffigurare S. Francesco.
Lungo la parete laterale attaccata al chiostro son rimasti un tondino in cui è affrescata una suora con il crocifisso nella destra, che farebbe pensare a S. Chiara. L’affresco risulta picconato, per cui non è facile identificare il soggetto raffigurato.
Successivamente troviamo i due affreschi quasi interi.
Nel primo, la figura di un frate francescano, in piedi. Si tratta di un volto giovanile, ma non è S. Francesco.
Nella lunetta successiva, S. Francesco e un angelo che sembra presentargli qualcosa.
Queste due piccole statue di cartapesta dei SS. Cosma e Damiano dovettero precedere nel tempo le statue attuali. Vestono secondo la tradizione iconografica dei SS. Medici, anche se i colori non si notano più perchè ormai la cartapesta si è deteriorata. Rispetto alle statue attuali i due santi hanno un copricapo particolare, quasi di tipo orientale.
L’Antifonario è stampato in nero con lettera iniziale in rosso, ha una rilegatura scura in pelle. E’ mancante del frontespiszio per cui non si conosce l’anno della stampa.Apparteneva ai frati francescani e potrebbe collocarsi nel secolo XVIII. Ultimamente restaurato a Grottaferrata.
Graduale Romanum è simile all’Antifonario, delle stesse misure, anche questo è privo del frontespizio. Potrebbe essere della stessa epoca. E’ stato da poco restaurato a Grottaferrata.
Ringraziamenti:
- all’amico Mario Carlucci per la collaborazione;
- un ringraziamento e un plauso a Don Antonio Chionna per l’encomiabile lavoro storico, artistico e documentale svolto in favore della nostra terra e della città di S. Vito in particolare;
- al nostro giovane accompagnatore Marco Prete.
Note:
(*) Nella seconda metà del 1700 nella provincia salentina e in particolare nel convento di San Vito si distinse la figura di un frate nato a Bronte (Catania) il 29 settembre 1729, P. Tommaso Pittalà da Bronte. Egli divenne frate nella provincia della Regolare Osservanza in Sicilia con sede a Messina e poi successivamente si trasferì nella provincia di Terra d’Otranto
(**) http://www.comune.sanvitodeinormanni.br.it/territorio/personaggi-illustri/item/fra-giacomo-da-san-vito
Bibliografia:
Antonio Chionna, Santa Maria delle Grazie in San Vito dei Normanni – Convento chiesa confraternite. Edizioni Il Punto – San Vito dei N. (Br), 12/2009